Uno spunto dalla vicina Carnia

Un articolo pubblicato sul portale dell'Arcidiocesi di Udine ci presta delle considerazioni utili per trovare nuove vie anche per le nostre comunità di montagna.


Domenica 29 febbraio assemblea dei cristiani per la montagna

La montagna? «Va vissuta da cristiani», sottolinea con convinzione (carnica) l’arcivescovo mons. Pietro Brollo. Per aggiungere immediatamente dopo: «È evidente che vivere da cristiani in montagna vuol dire sentire una vocazione». La vocazione di chi resiste in montagna, nonostante le difficoltà. La vocazione di chi sale in montagna per servizio: pastorale ma non solo. La vocazione di chi sceglie valli o terre alte per brevi periodi di riposo, anche un solo giorno.
Se dunque l’imperativo è vivere la montagna da cristiani, «bisogna ritrovare l’anima», insiste il sociologo Bruno Tellia. Quell’anima, ad esempio, che innerva i rapporti fra le persone, che facilita accoglienza ed apertura all’altro, che ti fa scegliere di implementare la vita anche nelle situazioni di scomodità, che ad altri suggeriscono invece di andarsene. Tutto il resto viene dopo.È il senso dell’assemblea dei cristiani friulani per la montagna: la Carnia, la Val Canale, il Canal del Ferro, le Valli del Natisone e tutte le altre terre d’alta quota che vorranno associarsi. Il 29 marzio, a Pontebba, il primo appuntamento: per verificare il cammino compiuto dal convegno diocesano del 2000, per consolidare quanto di positivo è stato fatto in termini di sviluppo complessivo sulla base delle sollecitazioni di quel convegno, per ricominciare gli itinerari sospesi. «Con fiducia, con speranza» puntualizza mons. Angelo Zanello, «lasciando da parte ogni possibile lamentazione».Mercoledì 18 febbraio, a Tolmezzo, si sono riuniti intorno all’arcivescovo Brollo, i suoi più stretti collaboratori, da mons. Gherbezza a mons. Schiff, a mons. Fabris, da Pierino Donada, del consiglio pastorale diocesano, ai vicari foranei dell’Alto Friuli, dal direttore della Caritas don Gloazzo a Giorgio Banchig per la Slavia e numerosi laici e studiosi che condividono la speranza che la montagna può farcela. Mario Gollino è stato nominato il coordinatore; ogni forania ha un proprio rappresentante che gli dà una mano. Puntuale il conforto dell’arcivescovo. «L’anima? La si trova anzitutto all’interno di noi stessi. Quindi dovremo sentirci tutti chiamati a dare un apporto vero».
Nella comunione – ha poi raccomandato mons. Brollo – ma anche nella corresponsabilità. Ovvero dentro il percorso pastorale che la Chiesa diocesana sta compiendo. Questo vuol dire – ha ben indicato l’arcivescovo – che nessuno deve sentirsi esecutore, ma corresponsabile. Corresponsabile, appunto, delle scelte che possono far vivere la montagna, oppure condurla alla morte. Vivere da cristiani in montagna significa, dunque – così ancora l’arcivescovo – non lasciarsi catturare dalla rassegnazione.La rassegnazione, ad esempio, al fatto che l’ospedale di Tolmezzo pratichi 120 aborti l’anno, come ha detto don Angelo; oppure che si abbandonino le case in decadenza, anziché metterle a disposizione delle giovani coppie.
«Sapete qual è stato il risultato forse più importante dell’attuazione del convegno diocesano del 2000? Che non ci piangiamo più addosso», ha rincuorato Gollino.Mons. Igino Schiff, vicario episcopale per la pastorale, ha colto quella che può sembrare una «provocazione», per far leva su una profonda convinzione: «Non c’è speranza, né quassù in montagna, né laggiù in pianura, se non c’è una matura autocoscienza, se non ci si prende sul serio, se non si diventa soggetti attivi del cambiamento di mentalità». Se non si crede, ad esempio, che nessuno vuol colonizzare nessuno. La corresponsabilità, dunque, come forma di vita e di impegno. A tutti i livelli.
Mons. Schiff ha confidato un piccolo sogno, ad riguardo: «Come si mobilita la montagna, chissà che altrettanto non faccia la Bassa friulana, dove i problemi non mancano. Magari con qualche forma di solidarietà reciproca. E di reciproco accompagnamento.
Dopo la tappa del 29 marzo, in giugno ci sarà un altro momento di riflessione. E di decisione. Sulle proposte da portare avanti. Ogni realtà con le sue specificità. E – come hanno suggerito Donada e Bruno Forte – nel coinvolgimento più ampio, magari anche della stesse visite foraniali; nell’apertura a tutti, fatta salva la missione: l’annuncio della speranza cristiana.
«Vogliamo dar fiducia per attraversare questa delicata fase di transizione», ha specificato don Gloazzo.
Francesco Dal Mas