Il benvenuto del Parroco a nome del Gruppo "la bela Stela"
A nome del gruppo “Che de la bela stela”, desidero salutare e dare il benvenuto a tutti i presenti, alle autorità che hanno potuto accogliere l’invito ad essere con noi e soprattutto a quanti hanno accettato di collaborare ancora per le miglior riuscita della manifestazione. Il presidente della provincia con cortese telefonata si scusa per la sua assenza.
Ancora una volta oggi ci troviamo per rievocare quanto del passato è stato e può diventare ancora “strutturale” al nostro paese.
Per molti di noi il paesaggio, i sentieri, i boschi sono da ammirare per la loro bellezza. Per chi ci ha preceduto su queste strade sono stati avversità da controllare per mezzo del lavoro, modellare con fiducia nella divina provvidenza, con caparbietà ed ingegno umano.
Le attività attraverso le quali ci sposteremo lungo via Rossin ci faranno riecheggiare - come eco lontana - anche le preghiere, le lacrime della fatica e della gioia di chi – nel corso dei secoli passati – ha realizzato questa comunità affinché noi oggi possiamo godercela a continuare a realizzare quelle migliorìe che la renderanno sempre più vivibile e accogliente: sia per la qualità della vita che per le relazioni umane da tener sempre incamminate sui sentieri della concordia e del perdono.
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Alle volte noi della montagna ci sentiamo dei vinti. Dei vinti nei confronti di scelte politiche che non hanno il supporto sufficiente dell’esperienza del "vivere in montagna"; dei vinti nei confronti di un mondo del lavoro industrializzato e tendente ad isolare quanti non sono raggiungibili da vie di comunicazione, non solo stradali. Vinti di un mondo i cui ritmi ci mettono in difficoltà: i tempi della montagna non sono i tempi della moderna globalizzazione.
Nel suo libro dedicato allo spaesamento e al disagio esistenziale nelle Alpi, il professor Annibale Salsa, attuale presidente del C.A.I. dedica l’ultimo capitolo di analisi cercando di rispondere a questa domanda: Solo vinti nel futuro?.
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La risposta incoraggiante è un chiaro no, malgrado i disagi, le difficoltà economiche, lo spopolamento che indurrebbe a chiudere e sopprimere servizi anche essenziali.
Oggi siamo qui anche noi per dare il nostro contributo di risposta a quella domanda: non siamo una minoranza costretta a lasciare il proprio ambiente e i propri modelli di vita, come in una lenta emorragia, in cui goccia dopo goccia, partenza dopo partenza vediamo giovani, famiglie, professionisti, tecnici e operai lasciare il paese, impoverendone il tessuto sociale.
Questa occasione, come altre iniziative da cui abbiamo imparato a realizzare la nostra, ci rassicura che siamo piuttosto una minoranza creativa che sa fare di quanto possiede (ambiente, storia, cultura, quadro di valori di riferimento), la propria ricchezza attuale a cui attingere per sognare, progettare e stimolare chi di competenza a considerare ogni comunità di montagna come “valore aggiunto”.
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Lo ha espresso molto bene a Pontebba la scorsa primavera mons. Pietro Brollo, l'Arcivescovo di Udine, nella prolusione all’assemblea dei cristiani per la montagna. Alle sue parole faccio riferimento perché ci aiutando ancora a incorniciare l’impegno di molti di noi per realizzare la giornata di oggi: “Si tratta non di sopportare (che vorrebbe dire subire) la vita vissuta quassù, ma di accoglierla dentro di noi come una risposta ad una vocazione che ci offre questa terra, questa cultura, queste opportunità per realizzare la nostra missione di uomini. All’interno di un “sì” detto in modo aperto e schietto si aprono allora prospettive e dinamiche virtuose, capaci di rendere positivamente significativa la nostra vita".
È con questo spirito e in questa prospettiva che siamo giunti alla seconda edizione di N’ota a Danta.
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La prima edizione, nostro malgrado, non ha avuto il dono della completezza e nell’inesperienza dell’organizzazione ha avuto mancanze e dimenticanze per cui chiediamo scusa. Forse anche quest’anno qualcosa non passerà inosservato agli occhi di qualcuno. Tuttavia mi permetto di citare il Rossin che a conclusione dell’introduzione al suo poema chiede scusa ai suoi illustri lettori scrivendo: “Mi perdonino, dico se li colori non sono animati tanto quanto lo esigerebbe al grandezza del Quadro e cerchino i secondi, come il grande soggetto ben lo merita, di migliorarlo”.
Grazie
d. Angelo Balcon