«Avevo già espresso, tempo fa, il mio fastidio per la festa di Halloween.
Poiché continua a imperversare, con la fatalità dei fenomeni più diffusi e immotivatamente accettati (il presenzialismo televisivo, i grandi fratelli e le isole dei presunti o sedicenti famosi), ma con un’ombra più inquietante, mi pare il caso di soffermarmi su questa carnevalata dello spirito, su questa ' festa de noantri' dove il tema però non è la porchetta o il vino dei castelli, ma l’anima, il suo destino dopo la morte.
La cupa festa chiaroscurale di Halloween mette infatti in scena zucche svuotate da zucche vuote, che impersonano spiriti dei morti, i quali in tale occasione verrebbero a visitarci.
E precede quella dei Santi e di Morti. La prima riguardante i cattolici, che nei Santi vedono una sopravvivenza alla vita straordinaria, esemplare per esemplarità di comportamento già in vita. La seconda, quella dei morti, credo sia una festa di tutti: i morti sono di tutti e lo strazio del decesso riguarda perché ferisce allo stesso modo credente e non credente, che pure hanno, per il ' dopo', prospettive ben differenti.
Dante ha una visione della morte diversa da quella di Foscolo, ma è identico nei due poeti lo sgomento dell’attimo unito a un subitaneo desiderio, anzi bisogno, d’immortalità, a un perdurare comunque degli affetti, o in assoluto o nel non minimale assoluto della memoria.
La festa di Halloween attinge a tradizioni afroamericane serie, riguardanti il rapporto tra il vivente e gli antenati, tra l’istante e gli spiriti dei morti, tra il presente e l’origine. Cose serie, ripeto, inscritte nell’ordine sacro in cui in ogni tempo e in ogni parte del mondo l’uomo si interroga da sempre sul proprio destino.
Tramutata così in carnevalata americana non offende solo il senso della vita e della morte, la cognizione del dolore, di noi contemporanei, non importa assolutamente se credenti o non credenti, offende anche lo spirito originario e antico da cui è stata presa in prestito per essere poi distorta, tramutata in parodia.
Non intendo colpevolizzare chi innocentemente, con la famiglia o gli amici, festeggia questo obbrobrioso atto di scherno ai defunti e allo spirito: intendo metterlo in guardia, fargli sapere che, in buona fede, sta scherzando col fuoco.
Se oggi la vita non vale nulla e padri e figli si ammazzano come bestie, se si sceglie ciecamente la morte altrui e propria in folli scorribande notturne dopo la discoteca, se ci si distrugge a quindici anni con droghe acquistate davanti alla scuola e consumate in gruppo con inquietanti corollari, se a Perugia avviene un delitto esemplare per sprezzo di ogni forma di respiro, se ragazzotti ignoranti sfondano le porte delle chiese di notte per improvvisare orridi riti satanisti, con fiumi di sangue, non è forse perché non abbiamo più il senso tragico della morte? Certo la festa in questione non ha nessuna intenzione malvagia, sia chiaro. Ma sottende una sottovalutazione, anzi una farsesca messa in ridicolo di una questione di fondo.
Non è il caso di svegliarci rispetto a riti questa volta innocenti e pacifici, ma nel fondo sprezzanti del sacro confine tra vita e morte? Che, sia chiaro, non deve essere un incubo puritano, ma al contrario un ringraziamento alla vita, un inno a tutto ciò che respira, e che, se amato, vivrà ancora, e per sempre, ovunque ognuno di noi gli trovi posto secondo la sua sensibilità, in Cielo o semplicemente nel suo Cuore.
La cupa festa chiaroscurale mette in scena zucche svuotate da zucche vuote e ci infastidisce
DI ROBERTO MUSSAPI - da Avvenire del 23 ottobre 2008